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La cefalea
è un fenomeno molto comune interessando più del 90% della popolazione che in un anno presenta almeno un episodio cefalalgico (1). Un vecchio studio americano pubblicato su Neurology nel '92 riportava un'incidenza generale di emicrania intorno al 10% nella popolazione con una marcata variabilità correlata all'età ed una più alta incidenza nel sesso femminile (3). Tale dato è risultato di molto sottostimato per tante mancate diagnosi e trattamenti non adeguati (4, 5). Dal momento che questa patologia costituisce una delle cause più comuni di perdita di giornate lavorative (2) rappresenta un grosso problema dal punto di vista socio-economico ed è il motivo per cuiè utile approfondirne la conoscenza.

Sicuramente la prima responsabilità clinica verso un paziente è quella di escludere una causa organica. Una cefalea pulsante associata a vomito con eventuali segni focali progressivi, aggravata da sforzi e tosse e più intensa al mattino devono far pensare ad una ipertensione endocranica che può essere confermata dalla presenza di papilledema al fundus oculi. In questo caso diventa fondamentale escludere la presenza di masse occupanti spazio come: tumori, ascessi o ematomi, avvalendosi di indagini neuroradiologiche quali tomografia compiterizzata (TC) o risonanza mgnetica nuceare (RMN). La negatività di tali indagini, nel sospetto di encefaliti o meningiti rendono indicata l'esecuzione della rachicentesi per lo studio dettagliato del liquor cefalorachidiano.

Le orbite, i seni paranasali ed i denti possono causare dolore riferito alle branche del nervo trigemino, alla fronte ed alle tempie. Sinusiti e mal di denti possono essere la causa di talune cefalee croniche e ricorrenti ma anche patologie ben più gravi come l'otite media, il glaucoma e la trombosi del seno cavernoso possono produrre dolore riferito in sede fronto-temporale.
Un buon approccio clinico al paziente con cefalea prevede una raccolta adeguata dell'anamnesi, analisi dettagliata dei sintomi, adeguato esame clinico generale e neurologico. Esami specifici sono consigliabili solo per un piccolo gruppo di pazienti che presenti una delle seguenti caratteristiche: a) esordio improvviso o insorgenza di un nuovo tipo di cefalea, b) sintomi atipici o segni sospetti per patologie organiche, c) segni anormali, per es papilledama, suggestivi di ipertensione endocranica o iperemia e tensione di un vaso dello scalpo indicante un'arterite endocranica, d) decorso incessante, non responsivo a trattamento convenzionale, e) comparsa di segni obiettivi progressivi.

Nel paziente adulto con cefalee ricorrenti che sono state definite come emicrania, comprese quelle con aura visiva, con nessun cambiamento recente nel pattern, nessuna storia di attacchi epilettici e nessun altro segno o sintomo neurologico focale, l'uso di routine della TC encefalo o della RMN encefalo non sembra giustificato. Questa linea aguida pratica è emersa da studi condotti su pazienti cefalagici sottoposti ad indagini neuroradiologiche mirate ad escludere una qualche patologia organica. Su un totale di 897 TC o RMN eseguite nei pazienti emicranici solo in quattro casi veniva evidenziata una patologia organica intracranica di tipo tumorale (3 pazienti) o malformativo vascolare (1 paziente). Uno dei pazienti con tumore ed il paziente con malformazione artero-venosa, avevano un disordine associato di natura epilettica che aumenta notevolmente la probabilità clinica di una lesione intracranica. Uno dei tumori era un glioblastoma multiforme, un tumore molto maligno la cui scoperta non modificava il decorso clinico del paziente; l'altro era un papilloma del plesso la cui presenza fu considerata incidentale dal momento che gli attacchi di emicrania classica del paziente persistevano dopo la sua rimozione. Il contributo totale degli esami di neuroimmagine alla scoperta di patologia era del 0.4%. Utile un'indagine neuroradiologica per casi diagnosticati come cefalea non specifica. Questo dal momento che su un totale di 1825 TC o RMN eseguite in pazienti con diagnosi generica di cefalea (comprendente quindi anche forme croniche ed atipiche) e normale esame neurologico furono diagnosticati: 21 tumori, 6 malformazioni arterovenose, 3 aneurismi, 5 ematomi subdurali ed 8 casi di idrocefalo con un contributo alla individuazione di patologia organica del 2.4% (6).

Nel 1988, la International Headache Society (IHS) ha pubblicato classificazine e criteri diagnostici per tutti i tipi di disordini cefalalgici, neuralgie craniali e dolore facciale (8). I primi 4 items della classificazione IHS comprendono i disordini della cefalea primaria: emicrania, cefalea tensiva, cefalea a grappolo e miscellanea. Essi rappresentano il 90-95% di tutte le cefalee

EMICRANIA
La classificazione IHS divide l'emicrania in due categorie: emicrania senza aura ed emicrania con aura. L'emicrania senza aura è di gran lunga la più frequente. L'emicrania con aura ha diverse suddivisioni:
a) emicrania con aura tipica della durata inferiore ad un'ora
b) emicrania con aura prolungata che inizia prima della cefalea, persiste durante e dopo per diverse ore fino a sette giorni
c) infarto emicranico caratterizzato da aura o segno neurologico focale che persistono per più di una settimana. In questo caso studi di neuroimmagine rivelano un infarto cerebrale (9).
d) emicrania familiare emiplegica che generalmente si manifesta nell'infanzia e si caratterizza per accessi emiplegici che accompagnano gli attacchi emicranici.
e) emicrania basilare con aura costituita da sintomi legati al coinvolgimento del tronco-encefalico o del cervelletto
f) equivalente emicranico quando l'aura si manifesta senza cefalea (10).

Altri più rari tipi di emicrania sono (8):
g) l'emicrania oftalmoplegica che si manifesta con diplopia causata da paresi di uno o più muscoli oculari estrinseci
h) l'emicrania retinica dove si instaura un'ischemia della retina ed il paziente presenta cecità monoculare
g) stato emicranico con durata superiore a tre giorni dell'attacco emicranico

In merito all'aura bisogna ricordare che quella tipica evolve gradualmente, in genere in un tempo che va dai 15 ai 20 min. Raramente l'emicrania può essere preceduta da un'aura ad inizio improvviso ed in tal caso bisogna sempre considerare la possibilità di un attacco ischemico transitorio non correlato all'emicrania.
Ci sono molte potenziali manifestazioni dell'aura emicranica, ma nel 90% si tratta di fenomeni visivi. Questi consistono in teicopsie (scotomi scintillanti che il paziente percepisce con gli occhi aperti o chiusi), in scotomi negativi (emianopsia omonima o altri vuoti di visione) o in metamorfopsie (distorsione della visione). Dopo i fenomeni visivi le manifestazioni più comuni dell'aura emicranica sono le parestesie che colpiscono tipicamente la mano e l'emifaccia. Può manifestarsi anche con una emiparesi e se è colpito l'emisfero dominante una afasia.

I criteri IHS per l'emicrania prevedono per lo meno 5 attacchi della durata da 4 ore a tre giorni. Per tale motivo non si dovrebbe mai fare diagnosi di emicrania sulla base del primo attacco. Un primo attacco che sembri simile all'emicrania può celare un'emorragia subaracnoidea, un tumore cerebrale o una meningite.
Importanti sono anche gli altri criteri per la diagnosi di emicrania senz'aura. Ci devono essere almeno due delle seguenti caratteristiche: la cefalea deve essere unilaterale, pulsante, di intensità moderata o severa e aggravata dall'attività fisica, avere dei sintomi associati che includono la nausea (con o senza vomito), la fotofobia e la fonofobia. Naturalmente non ci deve essere nessuna evidenza di malattia organica o, se c'è il sospetto, bisogna eseguire gli accertamenti diagnostici del caso.

Il tipico paziente con emicrania è una donna le cui cefalee iniziano nell'adolescenza o poco dopo e con una storia familiare per il problema. Il più comune sintomo è la nausea presente nell'80% ma mlto frequenti sono anche i fastidi per luci e rumori. Durante l'attacco di emicrania possono manifestarsi in aggiunta: diarrea e crampi addominali, osmofobia, aumento o riduzione della minzione, pallore facciale o più raramente rossore parossistico. I vasi delle temppie possono essere prominenti. Nelle donne le mestruazioni sono un fattore scatenante o aggravante molto comune. Altri fattori che possono contribuire ad aggravare la crisi sono: attività fisica, minimi movimenti del capo, cibi come cioccolata, formaggi stagionati, cucina cinese e bevande alcoliche; farmaci quali pillole anticoncezionali e nitroglicerina.

Si ricorda che l'emicrania tende a scomparire durante la menopausa o con l'ultimo trimestre di gravidanza.

Trattamento dell'emicrania
Una attenta anamnesi può essere utile per la prevenzione degli attacchi. Lo studio delle abitudini del paziente, il lavoro, la personalità ed i fattori stressanti possono fornire indicazioni utili. Ogni fattore in grado di scatenare gli attacchi: digiuno, cibi specifici, modificazioni nel pattern di sonno (eccesso o deprivazione), modificazioni ormonali nella donna, variazioni metereologiche, viaggi, esercizio fisico, superlavoro, rilassamento dopo stress, deve essere identificato e quando possibile eliminato (11). Dal punto di vista farmacologico, invece, il trattamento dell'emicrania può essere acuto o profilattico.
La maggior parte dei pazienti che soffrono di emicrania hanno meno di quattro attacchi al mese. Quando l'emicrania si verifica solo una o due volte al mese, la terapia dell'attacco è usualmente l'unica necessaria. In questo caso dosi adeguate dell'agente selezionato dovrebbero essere assunte il più vicino possibile all'inizio dell'attacco (12). Spesso quando i fenomeni vegetativi tipo nausea e vomito sono molto accentuati l'uso di un antiemetico puo' costituire una parte importante nel trattamento dell'emicrania. Utile si è dimostrata l'assunzione di Domperidone alla posologia di 10-20 mg, esso non attraversando la barriera emato-encefalica non causa gli effetti collaterali della metoclopramide come i movimenti exstrapiramidali. Tra gli analgesici discretamente usati con beneficio sono l'Aspirina ed il Paracetamolo. In alternativa si sono dimostrati efficaci: il Naprossene sodico (Momendol, Synflex), il Diclofenac sodico (Voltaren), l'Indometacina (Difmetre, l'ergotamina (cafergot) possibilmente, quest'ultima, in supposta evitando di usarla frequentemente per il rischio associato di cranicizzazione dell'emicrania. L'Ergotamina se usata nei modi consigliati (non più di 6 mg in 1 settimana, per non più di sei attacchi al mese) si è dimostrata efficace per il 30% dei pazienti (11). Più efficace dell'ergotamina è un suo derivato: la didroergotamina (Diidergot) somministrata alla dose di 1 mg i.m.
Tra gli altri farmaci ricordiamo il Sumatriptan 6 mg sc (Imigran) da usare con cautela nei cardiopatici (14, 15), ricordando tra i suoi effetti collaterali la manifestazione di costrizione toracica e formicolio agli arti. Esso agisce sulla cefalea e sulla nausea da 30 a due ore dalla somministrazione (16). Meglio sarebbe la somministrazione nella fase dell'aura (17). In caso di inefficacia si può ripetere per una volta anche dopo due ore dalla prima somministrazione.
Il trattamento profilattico è indicato solo in pazienti con più di due attacchi/mese di emicrania. I farmaci più usati per la profilassi includono: beta-bloccanti (es Inderal 40), calcio-antagonista (es Isoptin), pizotifene (Sandomigran 0,5 mg/die fino a 1,5 mg), metisergide, amitriptilina (Efexor 75), Flunarizina (5 mg/die). Nei pazienti con esacerbazioni correlate allo stress, l'amitriptilina è spesso efficace. I beta-bloccanti riducono la frequenza delle crisi nel 60% dei casi e sono più efficaci nel paziente iperteso e con tachicardia (18, 19). Gli inibitori della serotonina sono efficaci nel 60-70% dei pazienti (19). La metisergide, 1-2 mg tre volte al giorno è il farmaco più efficace ma dovrebbe essere usato sotto supervisione non superando i 3-4 mesi di trattamento per il rischio associato di fibrosi retroperitoneale, fibrosi pleuriche e pericarditi.
Valida alternativa ai trattamenti farmacologici si sono dimostrate le tecniche di rilassamento, l'agopuntura ed il biofeedback.

CEFALEA TENSIVA
Molto diffusa è
questo tipo di cefalea che si manifesta in maniera occasionale in seguito a situazioni di tensione psicofisica. La IHS ha sostituito la precedente dizione di "cefalea muscolo-tensiva" con quella di "cefalea tensiva" ulteriormente classificata in forme croniche ed episodiche. Per ciascuna delle due forme, inoltre, bisogna considerare la presenza o meno di contrazione obiettivabile della muscolatura pericraniale. I fattori scatenanti per la cefalea tensiva sono: la tensione nervosa, lo stress, lo sforzo protratto di attenzione e concentrazione, il mantenimento di una stessa posizione per lunghi perodi.
La localizzazione del dolore è tipicamente, ma non necessariamente, bilaterale. Nel caso in cui il dolore risulta unilaterale è sempre consigliabile la ricerca di fattori organici come disfunzioni dell'articolazione temporomandibolare o alterazioni cervicali. Nella pratica clinica è frequente che il paziente riferisca una distribuzione del dolore "a fascia" o "a casco". L'intensità del dolore è generalmente di grado lieve-medio. Una delle caratteristiche principali di questo tipo di cefalea è la scarsità, ed in alcuni casi la completa assenza, di sintomi associati al dolore. Qualche volta il paziente può lamentare foto e/o fonofobia, il vomito è sempre assente e la nausea è molto rara. Gli accertamenti strumentali possono in linea di massima essere necessari quando la storia della cefalea è recente, quando le caratteristiche cliniche sono atipiche, quando vi sono problemi di diagnosi differenziale con cefalee sintomatiche e quando pur essendo certi della diagnosi di cefalea tensiva si vuole procedere ad un approfondimento diagnostico. A questo scopo le indagini più utili possono essere l'esame elettromiografico ed uno studio radiologico del rachide cervicale e dell'articolazione temporo-mandibolare. Sulla base del pattern temporale vengono poi distinte le forme episodiche da quelle croniche.
La classificazione IHS pone limiti ben definiti per la diagnosi di forma episodica: la sua durata non deve essere inferiore a 30 minuti e non deve superare i sette giorni, non deve essere presente per più di 180 giorni all'anno e quindi più di 15 giorni al mese. In contrapposizione alla forma episodica i criteri IHS specificano che per la diagnosi della forma cronica la cefalea deve essere presente almeno 15 giorni al mese per almeno sei mesi. Le altre caratteristiche sono del tutto sovrapponibili alla forma episodica. Per entrambe le forme è utile considerare la presenza o meno di alterazione della muscolatura pericranica, quando presente è possibile evocare dolore alla compressione del muscolo interessato ed evidenziare all'elettromiografia aumento del livello di attività muscolare.

Trattamento della cefalea tensiva
Il trattamento delle cefalee tensive è tanto più efficace quando più la storia è breve. Un passo importante è far affiorare gli eventi che ne hanno determinato l'inizio. Questi sono spesso dimenticati o forse repressi tuttavia ripetute domande nelle successive consultazioni possono far riemergere i problemi di base. Pazienti sensibili, con una personalità fragile, possono essere incapaci di lottare con gli stress della vita ed usano inconsciamente il mal di testa per sfuggire le responsabilità che non sono in grado di assumersi. Sedativi, tranquillanti e farmaci ansiolitici sono di limitato valore se non viene adeguatamente trattata la base psicologica del disturbo. Quando la storia è breve e se viene riconosciuta una causa scatenante, spiegazioni e rassicurazioni possono essere sufficienti a determinare un netto miglioramento della situazione. Come fattore aggravante vi è spesso abuso di analgesici che va decisamente scoraggiato. Nei casi in cui il dolore quotidiano persiste da anni possono risultare utili brevi cicli di benzodiazepine o di amitriptilina. Può rivelarsi efficace anche una psicoterapia di supporto. L'amitriptilina è il farmaco di prima scelta nella profilassi della cefalea tensiva a prescindera dalla sua azione antidepressiva come dimostrato dall'inefficacia di altri farmaci antidepressivi (21). Per quanto riguarda la posologia generalmente si utilizzano 50-75 mg al giorno per via orale per cicli di circa tre mesi anche se si sono dimostrati efficaci dosi più basse di 10-30 mg/die per due mesi (22). La risposta terapeutica generalmente si mostra dopo 1-2 settimane dall'inizio del trattamento.

CEFALEA A GRAPPOLO
La cefalea a grappolo può iniziare ad ogni età ma più spesso si manifesta tra i 20 ed i 50 anni, predomina nel sesso maschile e si manifesta con periodi di cefale unilaterale molto severa, della durata di 15-180 minuti a ricorrenza pressoché quotidiana, con una frequenza degli attacchi compresa tra 1 attacco ogni due giorni e 8 attacchi al giorno. La brevità, la severità, la mancanza di aura e di manifestazioni vegetative, la frequenza giornaliera, la durata del grappolo per un periodo che varia da 4 a 16 settimane distinguono chiaramente questo tipo di cefalea dall'emicrania. Il dolore è molto forte, a pugnalata, localizzato solitamente nella regione orbitaria, con irradiazione alla fronte, alla tempia, alla guancia o alla mascella. Caratteristicamente la sintomatologia inizia durante la notte, circa un'ora dopo l'addormentamento (cefalea sveglia). In molti casi l'occhio ipsilaterale al dolore diventa congesto e lacrimante. Una sindrome di Horner transitoria si presenta nel 25% dei casi e persiste solo occasionalmente. Al contrario degli emicranici la maggior parte dei pazienti colpiti da cefalea a grappolo si alza dal letto, è agitata ed intrattabile. L'alcol ed altri vasodilatatori precipitano gli attacchi. La nitroglicerina può provocare un'attacco tipico entro un'ora dall'assunzione di una tavoletta sublinguale da 0.5 mg. Un episodio acuto di cefalea a grappolo dura da uno a quattro mesi sebbene occasionalmente gli attacchi possano continuare per un anno o più (cefalea a grappolo cronica). Le remissioni, nella forma episodica, sono complete ed i grappoli si presentano dopo un anno o due. Non vi è storia familiare.

L'emicrania parossistica cronica è una variante di cefalea a grappolo (24) che si verifica prevalentemente nelle donne con attacchi simili ma più frequenti (da 5 a 20 al giorno) e di più breve durata (da 2 a 45 minuti), essi rispondono quasi esclusivamente all'indometacina alla posologia di 75-150 mg/die.

Trattamento della cefalea a grappolo
L'ergotamina assunta un'ora in anticipo rispetto al periodo previsto dell'attacco è risultata utile in una buona percentuale di pazienti soprattutto nella formulazione in supposta. Il farmaco può essere sospeso dopo una settimana ed eventualmente ripreso in caso di recidiva degli attacchi. La metisergide 1-2 mg tre volte al giorno o il verapamil 40-80 mg tre volte al giorno sono utili alternative. Il litio (900 mg in tre dosi giornaliere) è utile nella variante cronica se altri metodi falliscono. Nei casi più difficili, un breve ciclo di steroidi (Deltacortene 50 mg/die) spesso fornisce sollievo. Per la terapia d'attacco si è dimostrata utile l'inalazione di O2 a 5-10 l/min che determina un beneficio immediato tanto da poter costituire un vero e proprio test diagnostico. Da un punto di vista farmacologico, il farmaco di prima scelta nel corso di un'attacco è oggi considerato il sumatriptan alle dosi di 100 mg per os o di 6 mg per via sottocuanea (25)

 

BIBLIOGRAFIA

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24. Sjaastad and Dale. A new headache entity "chronic paroxysmal hemicrania". Acta Neurol Scand 1976; 54: 140-159

25. Ekbom el al. Treatment of acute headache with sumatriptan. N Engl J Med 1991; 325: 322-326

** Mauro Silvestrini e Maria Matteis - Centro Cefalee, Clinica Neurologica Università di Roma "Tor Vergata" , Ospedale S. Eugenio

 


 

 

 

 

 

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